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Kiefer Sutherland

Kiefer Sutherland “Bloor Street”

Cinema, musica e vita si fondono sulle note vissute della nuova frontiera americana

Piani paralleli, intrecciati, diversi, come se appartenessero almeno a tre, quattro vite insieme, ma vissute da un unico uomo: Kiefer Sutherland. L’attore pluripremiato agli Emmy e ai Globe, figlio del grande Donald Sutherland, da qualche anno infatti sembra aver generato una nuova pelle fatta di note e parole. Il suo ultimo disco, “Bloor Street”, fuori il 21 gennaio 2022 per Cookyn Vinyl, è un sunto della sua complessa attitudine istrionica, che lo ha portato ad essere stella del cinema, della TV (chi non ha mai seguito almeno un episodio della splendida serie “24”?), poi allevatore di bestiame, cowboy competitivo, ranchero di successo e, non pago, fondatore della sua etichetta, la Ironworks, aperta con il nobile obiettivo di dar voce ai musicisti indipendenti canadesi.    
          
C’è tutto questo e molto altro in “Bloor Street”, ci sono ricordi e nuove consapevolezze, vittorie e sconfitte, ferite ancora dolenti e uno sguardo finalmente positivo sul futuro. La title track dà avvio a un disco di puro Rock and Roll mainstream dalla poetica americana intatta. Il videoclip, diretto da Tom Kirk agli Hidden Road Studios, torna su quell’insieme di mondi multipli appena evocati: un’alternanza di recenti riprese in studio, commoventi polaroid dell’infanzia di Sutherland, e immagini di Toronto riprese in diversi anni. La nostra storia dipende da un mix di fattori diversi, che vanno dalle attitudini personale all’esperienza familiare ma, sembra dirci il Nostro, anche i luoghi in cui cresciamo sono parte attiva della nostra formazione, come fossero personaggi viventi che mutano, accompagnandoci nella crescita e indirizzandoci verso il futuro che sceglieremo.    
      
L’arpeggio di “Going Down” e la partenza del cantato di Kiefer danno seguito all’atmosfera prevalentemente malinconica dell’incipit, tirando fuori al contempo l’asso nella manica di tutte le produzioni di genere che si rispettino: la capacità di trasportarti in viaggio. E le vedi bene le città attraversate, i posti solitari e polverosi della “Piccola America”, quella autentica, magari chiusa ma genuina. Come non posso evitare di avere vivida, negli occhi della mente, l’evoluzione di attore e di uomo di Sutherland. Impossibile scordarlo in capolavori come “Stand By Me” (di Rob Reiner, 1986) quando, nei panni di Ace “Asso” Merrill, distruggeva a colpi di mazza da baseball tutte le cassette della posta incontrate lungo la strada, accompagnato in macchina dalla sua gang di bulli.    

Oggi le reminiscenze di quel ragazzo difficile restano solo nel guizzo degli occhi, perché nella voce di “Two Stepping In Time”, giocosa e aperta, di certo non ce n’è traccia. In episodi come questi, e in diversi altri momenti del disco, è impossibile prendere le distanze da un nume tutelare come Bruce Springsteen, soprattutto in riferimento al suo approccio più scanzonato; ma il lavoro di Sutherland è in media meno epico, meno sofferto, più quotidiano e sereno. “So Full Of Love” continua sulla strada dell’alleggerimento, vola semplice e moderna, porta in un piacevole soffio alla successiva “County Jail Gate”, la prima ballata dell’album, condotta da un giro di piano che sa di “Southern Soul”, e una chitarra slide che “piange” fra gli incastri vocali e gli arrangiamenti solidi.   

“Goodbye” ha una matrice spiccatamente R&B, che fa impennare di nuovo il tiro del disco al momento giusto, traghettandolo felicemente alla seconda parte. In “Lean Into Me” si affaccia a tratti il suono dell’organo a dare corpo al pezzo, poi il ritornello accattivante fa il resto, restando a girare in testa per parecchio tempo. “Chasing The Rain”, secondo singolo estratto, propone un tipo di videoclip immancabile nella carriera di qualsiasi musicista: un montaggio coinvolgente di clip tratte dal precedente tour con la band, misto a momenti in studio e spezzoni di viaggio sul tour-bus.  
      
“Nothing Left To Say” e “Set Me Free” sembrano legate a livello di significato, la prima delineando in maniera chiara il finale di un rapporto nel quale, ormai, non è rimasto più nulla da dirsi; la seconda, già pervasa dalla liberazione imminente, vede Kiefer chiedere senza mezzi termini di essere lasciato sciolto. “Down The Line” è decisamente un pezzo forte, un gustoso duetto dal sapore country che sa di sole e di riappacificazione con se stessi. L’esatto opposto dell’indimenticabile interpretazione di Sutherland nei panni di Nelson Wright in “Linea Mortale” (di Joel Schumacher, 1990). Lì non c’era alcuna luce verso cui tendere, solo l’oscura tensione ossessiva a travalicare i limiti umani per smettere di far battere il cuore, conoscere i misteri dell’aldilà, certo, ma soprattutto trovare nella morte una pace che in terra sembrava negata.  

Prodotto e mixato da Chris Lord-Alge (Keith Urban, Carrie Underwood), “Bloor Street” è stato registrato ai PLYRZ Studios di Los Angeles, masterizzato da Ted Jensen agli Sterling Sound Studio di New York, ed è pronto per essere portato on stage lungo le tappe del nuovo tour, che comprenderà sia Stati Uniti che Europa. Anche per Kiefer Sutherland, insomma, la pandemia ha portato non solo problematiche da affrontare e concerti da rimandare, ma anche il dono più prezioso (e inaspettato) per qualsiasi artista: il tempo. Ore per fermarsi sul serio, finalmente. Ore per respirare, analizzare la propria interiorità, le proprie sensazioni, in modo da trasferire tutto il carico emotivo su disco, come mai era accaduto in precedenza.

Articolo di Simone Ignagni

Track List “Bloor Street”
1. Bloor Street
2. Going Down
3. Two Stepping In Time
4. So Full Of Love
5. County Jail Gate
6. Goodbye
7. Lean Into Me
8. Chasing The Rain
9. Nothing Left To Say
10. Set Me Free
11. Down The Line

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