Il 7 Agosto 2020 è uscito “The Dirt and the Stars”, quindicesimo album in studio di Mary Chapin Carpenter, voce femminile icona del Country-Folk americano, cinque Grammy (di cui ben quattro consecutivi) e 15 milioni di dischi venduti in tutto il mondo. La cantautrice torna con un disco solista (il primo dopo “The Things That We Are Made Of” del 2016), prodotto da Ethan Johns (Ray LaMontagne, Paul McCartney, Kings of Leon) per Lambent Light Records/Thirty Tigers e registrato nei Real World Studios di Peter Gabriel a Bath, nel Sud Ovest inglese; ad anticiparne la pubblicazione, i singoli “Between the Dirt and the Stars” e “Secret Keepers”.
Le undici tracce composte nella sua casa di campagna in Virginia segnano un ritorno intimista e riflessivo all’insegna dell’introspezione, nei testi come nelle atmosfere. La Carpenter ha rivelato che spesso le sue canzoni nascono letteralmente passo dopo passo, camminando da sola nei dintorni di casa, immersa nella natura, lasciando che la mente possa vagare libera fino a quando il brano trova la propria strada. Lei stessa ha definito questo album come qualcosa di estremamente personale, che nasce dal dolore, ma anche da una profonda ricerca interiore e dalla scoperta di essere un individuo sempre in divenire: la consapevolezza di avere sempre qualcosa da imparare come motore primo di una vita degna di essere vissuta.
Apre le danze “Farther Along and Further In”, chitarra acustica e pianoforte in primo piano come nella maggior parte dei pezzi. La voce morbida della Carpenter ad accogliere e a lasciar intendere fin da subito la direzione intrapresa: C’è una crepa nell’armatura, un’apertura / Il mio cuore guarda fuori e i miei occhi guardano dentro / dove non hanno mai guardato prima.
Ci si guarda dentro anche nella successiva “It’s Ok to Feel Sad”, accattivante nella ritmica e nel cantato, che nel frattempo ci ricorda come siano gli alti e i bassi della vita, quelle stesse crepe che lasciano entrare le ombre e la luce insieme, a farci capire che in fondo va tutto bene. “All Broken Hearts Break Differently” conferma arrangiamenti curati che delicatamente puntano a esaltare il più possibile la vocalità calda, scura e insieme luminosa della Carpenter, come anche la ballad “Old D-35”, un intreccio di chitarra e pianoforte, una carezza che suona come pioggia su un vecchio tetto di lamiera.
Ben altra atmosfera in “American Stooge”, brano sporcato di rock-blues dove lo sguardo si sposta fuori e si posa sulla politica opportunista e corrotta di uomini disposti a sacrificare la propria coscienza pur di restare aggrappati al potere.
Non solo riflessioni personali, quindi, ma anche temi attuali e grandi interrogativi universali ai quali questo disco prova a rispondere, una canzone dopo l’altra, con un susseguirsi di piccoli consigli pieni di saggezza, maturità e poesia, come in “Where the beauty Is”, “Everybody’s Got Something”, “Secret Keepers”, nell’intensa interpretazione di “Asking for a friend”, quasi un sussurro, o ancora nella delicata “Nocturne”: un quadro dipinto con grazia toccante che raffigura lo scorrere inesorabile del tempo.
“Between the Dirt and the Stars” dà il titolo e chiude l’intero lavoro raccogliendone il senso e la chitarra di Duke Levine lo sottolinea alla perfezione in un poderoso solo conclusivo: l’esistenza è entrambe le facce della medaglia, quella sporca e dolorosa delle cadute e quella brillante e gioiosa dei giorni facili e felici.
Un bagaglio di esperienze, tra luci e ombre, che Mary Chapin Carpenter riesce a raccontare molto bene con parole e suoni e che rende “The Dirt and The Stars” è un disco da ascoltare e riascoltare, magari camminando da soli, passo dopo passo, in attesa di trovare la propria strada.
Articolo di Valentina Comelli