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Neck Deep “Neck Deep”

Questo disco autoprodotto e indipendente segna un ritorno alle origini e al genere che li ha lanciati

Il Pop Punk è già alla seconda ondata di revival, dopo il primo degli anni 2010, e il secondo dei 2020 a opera di Travis e dei suoi adepti più giovani, e questo omonimo dei Neck Deep di Hopeless Records suona esattamente come se fosse uscito nel 2020. O nel 2010. O nel 2000. E questo è il suo pregio e il suo difetto. Molta critica che ha già recensito l’album ne attacca la poca originalità e il poco coraggio, liquidandolo come un lavoro che punta tutto sulla nostalgia, malgrado l’ascoltabilità e la freschezza dei brani.

Peccato, perché questo progetto autoprodotto e indipendente registrato in un magazzino nel loro Galles a poche miglia da dove sono cresciuti, sotto la produzione di Seb Barlow, bassista e fratello del frontman Ben, segna un ritorno alle origini e al genere che li ha lanciati nel 2014, e ha dato loro notorietà nella scena con “Life’s Not Out to Get You” nel 2015. Con l’ingrato compito di convincere di nuovo dopo il concept album parzialmente deludente del 2020 e… con una copertina neo-Underground di Evan Weselmann che francamente alza l’asticella al livello dell’artwork di Ricardo Cavolo per il classico del 2015.

Stando alle dichiarazioni rilasciate, la band si sente molto più sicura compositivamente e produttivamente: via collaboratori esterni, via l’elettronica in eccesso, e presenta, dopo l’abbandono di Dani Abasi, il nuovo batterista Matt Powles, precedentemente turnista con la band, che va ad affiancare i fratelli Barlow e i chitarristi Matt West e Sam Bowden. Il mio compito sarà quindi ripulire il giudizio dai criteri storici provando a parlare solo della musica, tenendo conto del fatto che i generi, per definizione, tendono a essere cristallizzati nel tempo perché dello zeitgeist della loro epoca fanno un… poltergeist, ovvero uno spirito che riemerge rumoroso anche al di fuori del periodo storico nel quale è stato concepito.

Ascoltare questo album è come trovarsi negli anni in cui le storiche band del Pop Punk dominavano la scena, e va ascoltato come se anche noi avessimo l’età e lo spirito di chi le ascoltava. Così facendo la musica può svolgere il suo compito, ovvero ripetere il miracolo del viaggio del tempo interiore ed esteriore di tutti noi. Il tema adolescenziale della messa in discussione del proprio valore personale nel mondo, è centrale. Per fortuna arriva “Sort Yourself Out” a rallegrarci con una storia d’amore che… ah no, anche se il protagonista compra fiori per scusarsi di qualunque cosa, lei è una partner tossica che lo trascina giù e musicalmente, mentre la band macina un perfetto tappeto Punk con doppia cassa del nuovo batterista Matt Powles che qui fa notare il suo arrivo, l’entrata del ritornello apparentemente perfetto inizia a mostrare un po’ il manierismo e a far intravedere poca anima dietro note perfettamente studiate per essere gradevoli.

Ma ci siamo detti che il giudizio sull’originalità è differito, e cerchiamo invece l’ottimismo e l’autostima, che non troveremo sicuramente nel prossimo brano dal titolo “This Is All My Fault” e addirittura la partner questa volta se ne va senza essere trattenuta da chi si addossa tutte le colpe e vorrebbe costruire una replica di se stesso, ma meno patetica, sulle note di questo pieno di chitarre di Sam Bowden e Matt West, che sembra tratto dai successi pre-pandemia della band. La voce di Ben Barlow è ripulita e migliorata rispetto agli inizi e qui brilla particolarmente.

Per fortuna il Punk ha anche uno spirito politico e il brano successivo “We Need More Bricks” è quintessenziale musicalmente e una chiamata alle armi liricamente, in un testo in cui i “mattoni” possono servire per distruggere ma anche per ricostruire, e un riff con un “breakdown” che Barlow ritiene il più memorabile scritto dalla band finora. “Heartbreak of the Century” già uscito come singolo ma presentato con un nuovo master ritorna al buon vecchio umore distruttivo del genere, celebrando una di quelle delusioni così forti che ci si potrebbe vincere un premio, come illustrato cinicamente dal video del brano. A questo punto dell’album il parere si potrebbe dividere giudicando per esempio questo ritornello come iconico o come scontato.

Il brano seguente “Go Outside” che ricorda maggiormente cugini americani ha un tempo più lento ma non è meno energetico, anche se forse è più stereotipato nei temi e nell’esecuzione quasi Emo e nella metrica che richiama, forse non per la prima volta, “My Friends Over You”. “Take Me With You” non rialza la testa in termini di originalità, trattandosi di un omaggio anche tematico al filone “Extraterrestre portami via” è stato ben battuto da Delonge e compagni malgrado la passione per gli UFO sia un sincero interesse dei componenti della band, ma fa il suo lavoro di far battere anche il piede come tutti gli altri brani. “They May Not Mean To (But They Do)” conferma la maggiore debolezza di questo “lato” dell’album malgrado un testo introspettivo e un divertente e purtroppo realistico ritornello che prende spunto da verso del poeta inglese Philip Larkin, cantabile al limite della filastrocca infantile, e che dichiara in poco più di tre minuti come “i tuoi genitori forse non vogliono incasinarti, ma lo fanno”.

“It Won’t Be Like This Forever,” dall’inizio acustico che sfocia in un tempo medio sostenuto dal basso di Seb Barlow e dal coro ancora una volta accattivante, apre una luce di ottimismo anche nel testo che introduce qualche ricercatezza lessicale e ammette la possibilità di stare meglio dopo una tempesta emotiva con l’aiuto di qualcuno che ci ama. “Moody Weirdo”, la più “blinky”, anche se orientata più al Pop che al Punk, sembra la più sentita e trascinante della seconda metà dell’album. Peccato per la durata che pur nell’onestà del non indulgere e allungare il brodo, non lascia neanche respirare la musica per più dei canonici tre minuti (nessun brano dell’album supera i quattro minuti).

Che sia un esercizio nostalgico o un’aggiunta necessaria alla nostra playlist “workout”, Neck Deep è largamente ascoltabile e ben eseguito e sicuramente sarà una colonna sonora perfetta per gli spettacoli dal vivo. Vi cambierà la vita? No. Potete ascoltarlo a sfinimento? Sì.

Articolo di Nicola Rovetta

Tracklist “Neck Deep”

1. Dumbstruck Dumbf**k
2. Sort Yourself Out
3. This Is All My Fault
4. We Need More Bricks             
5. Heartbreak Of The Century
6. Go Outside! 
7. Take Me With You
8. They May Not Mean To (But They Do)
9. It Won’t Be Like This Forever
10. Moody Weirdo

Lineup Neck Deep: Ben Barlow voce / Sam Bowden chitarra solista / Matt West chitarra ritmica / Seb Barlow basso / Matt Powles batteria

Neck Deep online:
Website: https://www.neckdeepuk.com/
Facebook: http://facebook.com/neckdeepuk/
Instagram: https://www.instagram.com/neckdeepuk/

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