Quando si parla di super gruppi, generalmente la mente corre ai lontani ’70 e’80, anni in cui non era inusuale la collaborazione fra musicisti famosi provenienti da formazioni diverse con una fama già consolidata. Attualmente questa tendenza si è un po’ attenuata, ma esistono eccezioni che confermano la regola. Nel 2017, per esempio, i Gizmodrome composti dall’ex Police Stewart Copeland con Adrian Belew, Mark King e Vittorio Cosma hanno prodotto un disco di rilievo; l’esperienza non ha avuto però un seguito, rimanendo quindi un episodio a sé stante.
Diverso il caso degli O.R.k., gruppo che il 21 ottobre 2022 ha pubblicato per l’etichetta Kscope l’album “Screamnasium”, quarto lavoro in studio e successore di “Remagehead” uscito nel 2019, disco ricco di consensi in termini di critica e pubblico. Questo ensemble, un po’ come quello sopra, citato non casualmente, si può definire cosmopolita, con tutti i musicisti accomunati dal notevole retroterra musicale e affermatisi in formazioni diverse. Nel 2015 il vocalist LEF, alias Lorenzo Esposito Fornasari, reduce da molteplici esperienze tra cui quella con Giovanni Lindo Ferretti, fonda il gruppo coinvolgendo il chitarrista Carmelo Pipitone (Marta Sui Tubi); ai due si aggiungono il basso dell’australiano Colin Edwin dai Porcupine Tree e il batterista statunitense Pat Mastellotto, già con Mr. Mister ma noto soprattutto per la duratura e consolidata carriera nei King Crimson.
Le credenziali altisonanti degli interpreti coinvolti hanno avuto conferma negli album finora prodotti che hanno espresso uno stile variegato e composito. Dato i loro trascorsi verrebbe da catalogare il gruppo come prog; in realtà il suono è strutturato in una maniera così diversificata, duttile e fantasiosa che risulta difficile attribuirgli un genere preciso. Il loro non appare più solo un indefinito progetto, una jam session occasionale o un’idea sperimentale, ma qualcosa di concreto e la realizzazione di quattro dischi ne è una conferma. In questo senso “Screamnasium” si può etichettare come l’album della completa maturazione, la sublimazione di un suono che ha trovato negli anni la sua completa evoluzione, affinandosi sempre di più.
La formula perfetta che muove questo lavoro è senza dubbio il contributo che ognuno di questi strumentisti porta in dote alle trame della band che risultano così sempre imprevedibili. La voce di LEF, forgiata da scuola di canto lirico è di una estensione notevole, si arrampica su scale vertiginose con assoluta maestria, ma trasmette anche emozioni a non finire, alternando momenti di grande potenza ad attimi più intimisti e passionali. Ciò emerge fino dal primo brano “As I Leave”, che dopo un inizio tenue e delicato, giocato su arpeggi di chitarra acustica, evolve in atmosfere massicce con riff energici, dove la voce del cantante svetta altissima e penetrante accompagnata da cori deliziosi. Il testo del pezzo, dalle atmosfere inquietanti, induce ad amare riflessioni sui rapporti umani e sulle ragioni inspiegabili di come, seppur nell’era dell’iper-connessione, spesso non si riesca a instaurare legami personali duraturi e sinceri.
Le liriche richiamano infatti il tema della sovra esposizione dovuto alla tecnologia come pure le problematiche fosche che ci vedono coinvolti nell’attuale contesto storico; le ragioni di una socialità che si va perdendo possono anche rimanere sconosciute o forse legate al fatto che anche i sogni sfioriscono (I tuoi sogni sono invecchiati?) e non sappiamo più assaporare le piccole cose che ci danno felicità. L’album, asserisce il bassista Colin Edwin nel presentare il lavoro, riflette il nostro passato recente e ci indirizza comunque verso un’energia nuova che consenta un futuro più speranzoso, pur nella consapevolezza di vivere un periodo estremamente complicato.
Le domande poste nei testi sono lasciate senza una risposta o forse delegate all’ascoltatore quando si immedesima nel clima dell’opera, quello che trasmettono è forse un fascino enigmatico, lo stesso fascino inquietante che trasmette la suggestiva copertina dove un teschio ne ingloba un altro dalle dimensioni più piccole. Sarà probabilmente in futuro la stessa band a spiegarne il significato, lasciandoci per ora nel dubbio, liberi di fornire una personale interpretazione.
Tutta la forza propulsiva del gruppo si scatena nel secondo brano “Unspoken Words”, che in un certo senso con queste parole non dette, pone ancora in risalto le difficoltà comunicative. Il pezzo scorre veloce e agile, mettendo in mostra le incredibili doti dei musicisti. Pipitone è chitarrista sopraffino dal grande talento e lo dimostra dividendosi egregiamente fra riff e assoli sempre ben dosati, il drumming di Mastellotto è incalzante ma al contempo fluido e fantasioso.
Oltre a guidarci in questo multiforme collage musicale, il gruppo ci riserva una prima piacevole sorpresa. In “Consequence”, Elisa, non nuova a queste importanti collaborazioni, duetta con LEF; probabilmente una versione inedita della cantautrice triestina che conferma comunque la sua grande versatilità. Dopo un inizio veemente il lavoro prende una piega decisamente più prog con “I Feel Wrong”, le atmosfere si fanno più rarefatte, ma rimane comunque questa percezione di un qualcosa così estroso e originale, da non poter essere codificato. Continui i cambiamenti armonici impreziositi dalla ritmica impellente di Edwin.
Il viaggio prosegue con le atmosfere velatamente crimsoniane di “Don’t Call Me a Joke” certamente influenzate dalla presenza di Mastellotto che non a caso si esalta in un drumming di livello eccezionale. Le scorribande sonore di “Hope For The Ordinary” anticipano due perle di assoluta lucentezza incastonate fra le tracce dell’album. La prima è “Deadly Bite” dal clima evocativo, in cui le tastiere salgono al proscenio in una perfetta commistione con la chitarra e che riportano a vaghe reminiscenze Dream Theater, con la voce di LEF superlativa; la successiva è “Something Broke”, dove compare anche un bellissimo ritornello e qualche atmosfera psichedelica alternata a momenti di pura energia.
Delicatezza al piano e alla voce iniziali si contrappongono all’epicità dettata dai riff in “Lonely Crowd”, prima di giungere al finale che ci riserva un altro gradito cameo. In “Someone Waits” compare la dolcezza melodica del violoncello suonato dalla compositrice londinese Jo Quail. Le armonie dell’artista britannica vanno a fondersi mirabilmente con la liricità vocale di LEF e con la forza della sezione ritmica, dando all’ascoltatore la sensazione di calarsi in un’atmosfera sinfonica e barocca, modernizzata però nei suoni.
Un album capace di regalare e infondere grandi emozioni, da ascoltare attentamente per apprezzarne al meglio sfumature e tipicità. L’alchimia formatasi fra questi interpreti d’eccezione ormai rodata e consacrata nelle varie esperienze vissute, è la chiave del successo e quindi della longevità di questo percorso atipico ma vincente. L’idea di un collettivo che riunisca interpreti di tale livello apre a un ventaglio pressoché illimitato di possibilità e rende i lavori della band sempre poliedrici e interessanti. Quest’ultimo disco interpreta in profondità l’incertezza dei tempi moderni infondendo comunque un messaggio di empatia e ottimismo diffuso attraverso un sound coeso e efficace.
Articolo di Carlo Giorgetti
Tracklist “Screamnasium”
- As I Leave
- Unspoken Words
- Consequence
- I Feel Wrong
- Don’t Call Me A Joke
- Hope For The Ordinary
- Deadly Bite
- Something Broke
- Lonely Crowd
- Someone Waits
Line Up O.R.k. Lorenzo Eposito Fornasari a.k.a. LEF Voce / Pat Mastellotto Batteria e Percussioni / Colin Edwin Basso / Carmelo Pipitone chitarre Guest musicians Elisa Voce e cori in “Consequence” / Jo Quail Violoncello in “Someone Waits”
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