Correva l’anno 2000 e alle porte del nuovo Millennio il suono del Death Metal iniziava ad intraprendere la sua rotta di collisione con quello del Black Metal, andando a formare un genere (appunto Black / Death Metal) che avrebbe trovato la sua fortuna nell’ambiente Estremo negli anni successivi, con gruppi come Hate, Belphegor, Behemoth e così via.
Intanto, lungo la costa Est della Danimarca, precisamente nella città di Aarhus, i Panzerchrist avevano iniziato a muovere i loro primi passi in questa direzione, diventata poi chiara sul loro terzo disco “Soul Collector”, lavoro della loro definitiva consacrazione nel Pantheon di questo sottogenere del Metal Estremo.
Malgrado questo gruppo soffra di una stabilità pressoché inesistente riguardo alla line-up, i pianeti si allinearono 21 anni fa per la realizzazione di un disco che tuttora riesce a suonare come un vero e proprio tassello fondamentale per l’evoluzione di questo genere: un assalto (parola non usata a sproposito) di otto tracce serratissime, rese tali anche da un netto miglioramento della produzione rispetto al precedente “Outpost – Fort Europa” di solo un anno prima.
La vena black metal del gruppo emerge in un massiccio utilizzo della glaciale melodia tipica del genere, mentre l’ossatura di questo album rimane fortemente ancorata a un Death Metal monolitico e scurissimo, a parere di chi vi scrive fortemente ispirato ai Deicide di Mr. Glenn Benton. Tanti dei canoni tipici del Black / Death Metal sono presenti in questo disco (più associabile alla suono di competenza dei già citati Belphegor), tratto che lo rende ancora attualissimo all’interno di un sottogenere che procede a passi rapidi verso i 25 anni di esistenza.
Altro plauso a una caratteristica tipica di questo gruppo, ovvero la marzialità e l’intensità di certe parti musicali: tali scelte vanno a supporto di testi incentrati principalmente sulla Seconda Guerra Mondiale e sull’autodistruzione dell’umanità, scaturita dallo scellerato sviluppo della potenza militare, creando un’atmosfera tetra e oppressiva, ma allo stesso tempo mantenuta su ritmi altissimi da un’esecuzione a velocità forsennate.
Tracce travolgenti come l’apertura “Das Leben will gewonnen sein”, la centrale “Schwarz ist Unser Panzer” col suo riff mediano allucinato e avvolto dal mitragliare incessante della batteria, per poi giungere alla devastante chiusura “Zum Gegentoss”. Questo brano è un’ulteriore testimonianza della perizia compositiva dei Panzerchrist: anziché colpire sin dall’apertura l’ascoltatore, la traccia si apre con un giro di ispirazione quasi Progressive (andando a citare senza vergogna “Altering the Future” dei Death) per poi lanciarsi in un mid-tempo spezza-collo che si fonde perfettamente all’assalto conclusivo della canzone, ultimo lascito di questi 33 minuti e mezzo di bombardamento senza respiro.
Un disco che, a distanza di 21 anni dalla sua data di uscita originale, mantiene ancora saldo il suo posto fra i migliori lavori di questo genere musicale: malgrado i Panzerchrist, a parere del sottoscritto, non siano più riusciti a bissare questo capolavoro seminale durante la loro carriera, a loro va il merito di aver contribuito in maniera massiccia al Black / Death Metal con un disco superlativo, adesso riportato a nuova vita e nuovo lustro in versione ristampata e rimasterizzata da Emanzipation Productions, fuori il 3 settembre 20121. Giusto tributo a un lavoro fondamentale, ispiratissimo e senza pietà.
Articolo di Lorenzo Bini
Tracklist “Soul Collector” (2000)
- Das leben will gewonnen sein
- Y2Krieg
- Der Panzertöter
- Panzergrenadier
- Schwarz ist unser Panzer (Ich hatt’einen Kameraden)
- Unser höchste Ehre
- Kalt wie der Finsternis
- Zum Gegentoss
Line up Panzerchrist
Michael Enevoldsen (Composizioni e scrittura traccia 2-5), Reno Killerich (Batteria), Michael Kopietz (Chitarra e Basso), Karina Bundgaard (Basso traccia 2-5), Bo Summer (Voce)