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Paul McCartney “McCartney III”

Il mondo cambia ma Paul McCartney rimane forse una delle poche sicurezze che possiamo permetterci

Un album soave dalle tinte notturne

“McCarteny III” è qui, e che sia con noi prima di questo sciagurato Natale è davvero un bene. Ci tira su, decisamente. Ci dona quella magia che la realtà non può. L’uscita è stata preceduta da un’operazione di marketing massiva e martellante, incrociata con quella di Taylor Swift con la quale Paul farà a cazzotti per stabilirsi in modo prepotente al numero 1 della classifiche mondiali, campagna che nel mio caso ha un po’ sciupato il formicolio dell’attesa (tanto della Swift non mi importa un granché).

E insomma, il 18 dicembre 2020 è arrivata l’ora del “McCartney III”. Altra confessione: adoro l’I e il II, sì, anche il II, ma non perché adori qualsiasi disco di Paul, anzi; sono una donna di passione – beatlesiana -, non di fede, e insomma qua e là qualche inciampo il nostro l’ha fatto, è un re, non un dio.

Un re appunto, già nel secolo scorso, dove ha diviso lo scettro con pochi, noti. In questo secolo lo tiene ancora saldamente questo scettro, e anche la corona, ma si sa, di musicisti così talentuosi, creativi, virtuosi, sensibili, intelligenti, positivi, non ce ne sono più. Meno male che lui c’è, alive and kicking.

E veniamo alle mie prime impressioni, poi lo ascolterò ancora centinaia di volte e sicuramente mi procurerà un’altra enorme quantità di sensazioni. Della genesi e della registrazione dell’album ormai sappiamo tutto e ancor di più, inutile soffermarcisi. Della miriade di versioni di stampa pure, per la “gioia” delle tasche dei collezionisti; beh, d’altra parte Paul è rimasto uno dei rari musicisti  cha fa valanghe di soldi anche con la vendita di dischi.

I toni sono intimi, puliti, schietti, e Paul ricama con strumenti e voci una sorta di biografia musicale. Ci ritroviamo le origini, gli sviluppi, le influenze, tutto quello che lo ha portato nel presente, in cui lavora e ama la sua vita con intensità. I brani più catchy di “McCartney III” sono quelli che amo meno, anche se sono puro e leggiadro Mccartney, ma già sentito.

Ci sono poi i capolavori: “Long Tailed Winter Bird” prende il bandolo della matassa delle emozioni che stanno raggomitolate nella pancia lì al buio, e nei suoi oltre 5 minuti te le dipana pian piano, così che poi siamo pronti per ricevere il resto, ormai e già completamente aperti all’universo di sensazioni che gli altri brani porteranno, in particolare “Deep Feeling”, “Slidin’”, “Deep Down”, e infine il tipico 1+1=1 di Paul: “Winter Bird/When Winter Comes”. Il piano a coda vi guiderà nel viaggio onirico che il disco dona.

Chiudete gli occhi, sognate. God save Macca.

Recensione di Francesca Cecconi

Un disco scuro ma vestito di leggerezza

Nel 2020 il baronetto di Liverpool pubblica quello che lui considera il suo terzo disco solista. Sono passati 50 anni dal quel suo esordio che segnò di fatto la fine dei Beatles e 40 dal suo secondo. Il mondo nel frattempo è cambiato e Paul McCartney rimane forse una delle poche sicurezze che possiamo permetterci. Paul ha mantenuto negli anni una parte di umanità con cui contrasta l’alone di mito e leggenda che inevitabilmente lo circonda. Paul può sbagliare; può scrivere anche brutte canzoni accanto a capolavori indiscussi e può farlo mentre è soggetto ad una quarantena come tutti noi, ma non la chiama lockdown bensì un “rockdown” nelle quali ha registrato 11 canzoni, per 45 minuti scarsi di musica.

Un disco che vorrebbe essere leggero ma che invece alle mie orecchie suona cupo e pieno di domande senza risposte. Ed è questo che lo rende umano: “Deep Deep Feeling” è una delle canzoni più struggenti e toccanti che abbia mai scritto. Un’elegia funebre, che cattura quel senso di dolore e scoramento nell’essere ancora vivi mentre gli amici e le persone care muoiono. Il peso di aver preso delle decisioni, di essere cresciuti, di essere arrivati fino a questo punto a dispetto di altri, permane in molte delle canzoni di questo disco: “Women And Wives” per esempio, che sembra un’innocua canzone pop e che invece, ascolto dopo ascolto, ti entra dentro e ti costringe a interrogarti.

Che bello sentirlo pestare duro in “Slidin’” una sorta di risposta a Pete Townshend che poco tempo fa aveva affermato che i Beatles non fossero r’n’r, e lanciarsi nel funky notturno di “Deep Down”, che sembra una discesa negli inferi, nei meandri più oscuri della propria coscienza.

Paul ci vuole bene e vuole comunque lasciarci senza fiato con due acquerelli acustici: “Kiss Of Venus” e “Seize The Day” che oggi nel 2020 assumono a veri e propri manifesti di come andrebbe scritta una canzone pop. È un’arte che sta svanendo in questo mondo senza dinamica e capacità di essere leggeri ed universali senza per questo risultare banali. “Seize My Day” è una delle più belle dichiarazioni d’intenti, quello che vorrei sentire da un giovane musicista: COGLI L’ATTIMO. Invece è un settantottenne con la voce che solo adesso inizia far sentire chiaramente i segni del tempo, ma che non molla e rimane attaccato all’oggi, celebrando il passato e pensando al futuro.

Come cinquant’anni fa, “III” segna una fine ed un nuovo inizio, una nuova strada da percorrere per il musicista mancino inglese più famoso del mondo.

Recensione di Jacopo Meille

Un genio ancora in grado di stupire

Difficile recensire “McCartney III” un lavoro profondamente intimista e distante da tutta la discografia di Paul. L’album suona paradossalmente giovane perché non vuole sembrare moderno, Pauli ha fatto quello che ha voluto senza compromessi e il risultato è elettrizzante. Nel complesso, definirei tutta l’opera un “concept album della raffinatezza”, un disco ricco di stili e idee. C’è un filo nero che lega i brani, le atmosfere darkeggianti sicuramente figlie del rockdown, termine usato da Paul per indicare questo periodo, ma anche di riflessioni riguardo la consapevolezza di non essere eterni.

In “McCartney III”, come in “McCartney” e “McCartney II”, a parte piccole eccezioni Paul suona tutti gli strumenti e persino le foto, come riportato nelle note, sono un “affare di famiglia” (gli scatti sono suoi, di sua figlia Mary e del nipote Sonny).

Al momento sono uscite 47 versioni delle quali 11 in vinile colorato, alcune si differenziano per la foto del retro copertina. Il conteggio non è definitivo e se riesco a darvi quest’informazione è solo grazie al mio caro amico Luca Guffanti.

L’inizio dell’album è sfavillante, una delle più belle aperture di sempre della lunghissima carriera di Paul, nel quale l’acustica la fa da padrone. “Long Tailed Winter Bird”, brano quasi completamente strumentale, cresce d’intensità appena entrano gli altri strumenti: batteria, sintetizzatori, flauto. Sembra che Paul stia scaldando gli attrezzi del mestiere per dare all’ascoltatore un antipasto di quello che lo aspetterà, un po’ come il soundcheck dell’orchestra in “Sgt. Pepper”. I pochi interventi cantati chiedono all’ascoltatore se ci è mancato; la domanda sembra retorica.

“Find My Way” è uno dei pochi pezzi dove troviamo il marchio tipico di Paul: melodie come questa solo lui le sa scrivere, la tipica canzone che ti entra subito nelle orecchie. È già uscito il video diretto da Ramon Coppola, figlio del grande regista, di quello che un tempo sarebbe stato il 45 giri. Cala il ritmo ma non la magica atmosfera, “Pretty Boys” infatti è un altro gioiellino della melodia che viaggia leggera in questo raffinato brano folk. Il testo racconta in terza persona, tipico di Paul, della condizione di chi viene continuamente fotografato.

Piano ritmato e voce meravigliosamente matura all’apparenza ubriaca che accarezza note basse, atmosfere scure e blues, “Women and Wives” è ispirazione pura.  Ci sono anche un’ottima batteria e il contrabbasso, nientedimeno che quello che fu di Bill Black. Tutti gli strumenti suonati da Sir Paul, ovviamente. Il testo sembra essere un testamento spirituale. Qui siamo ad alta quota!Il blues ritmato e ruspante e l’ottima prestazione vocale, buona la prima, sono i marchi di fabbrica di “Lavatory Lil”. Gabinetto Lil è il nomignolo affibbiato da Paul a una persona che resterà anonima, dal testo sembra una donna, con la quale Macca ha collaborato. Come è evidentemente dalle liriche, il rapporto si è concluso malissimo.

Ascoltando il vinile si passa dal Blues squillante al un Rock energico di “Slidin’”, brano con sfumature heavy molto ben riuscito, suonato e arrangiato con gran classe. Il suono è pieno, e quanto sarebbe bello poterlo ascoltare dal vivo. Chitarra elettrica spigolosa e anche qui un po’ dark e psichedelica, in questa occasione eccezionale suonata da uno dei rari contribuiti esterni, quello del fedele Rusty Anderson, mentre Abe Laboriel Jr si scatena in un’interpretazione poderosa alla batteria.

Per chi ha il vinile, il lato B inizia con “Deep Deep Feeling”, per chi ha il cd questo brano è tra i due appena citati. Il pezzo è estremamente interessante; c’è dentro di tutto: atmosfere dark, acid jazz e psichedeliche. Batteria vibrante, caldo il suono delle percussioni, intriganti i passaggi cromatici della chitarra a tratti sporca, suonata magistralmente da Paul come tutti gli altri strumenti: basso, Mellotron, tastiere, maracas.  Il suono emesso dagli strumenti sembra fuggire, rincorrersi e ritrovarsi insieme al gioco di voci, sempre le sue, versatili e ricche di variazioni, chiusura a sorpresa con chitarra acustica. Entusiasmante, sembra un’orgia di stili che urla viva la musica vera!

Proseguiamo con “The Kiss Of Venus” brano dolce e intimista, nostalgiche armonie piacevoli all’ascolto, chitarra acustica e voce in falsetto con intermezzo al clavicembalo. È lo svelarsi nell’intimità di un essere umano che sa di essere di passaggio, il tutto espresso con estrema consapevolezza e serenità. A seguire “Seize the day”, solo Paul sa trovare armonie come queste! Pezzo che suona molto piacevole e che invita l’ascoltatore a cogliere l’attimo. “Deep Down” è un pezzo profondo sia musicalmente che nelle liriche. Paul che vuole andare in profondità, ricercare ancora dopo tutto questo tempo, come tutti i grandi artisti. Meravigliosa l’interpretazione vocale, accompagnata dalla sua batteria e le sue tastiere, una favola.

L’acustica di Paul riprende le note dell’inizio del disco e l’opera finisce qui con i primi quaranta secondi di “When Winter Comes”, tutto il resto sono i restanti due minuti e mezzo di questo bellissimo brano dallo stile folk che risale al 1992, arrangiato insieme a George Martin, con atmosfera un po’ anni ’50 che trasmette immediatamente una dolce nostalgia.

“Abbey Road”, l’ultimo album registrato in studio dai Beatles, chiudeva gli anni Sessanta con una frase di Paul alla fine l’amore che ricevi è uguale a quello che dai, pochi mesi dopo uscì “McCartney I”. Nel 1980, “McCartney II” chiuse l’epopea degli Wings. Il messaggio di questo straordinario album sembra essere l’amore che ho ricevuto è stato uguale all’amore che ho dato. Personalmente sono sicuro che l’amore che Macca ha ricevuto è stato tantissimo perché quello che ha dato con la sua musica è stato impareggiabile e questo album è un bellissimo saluto, speriamo un arrivederci.

Recensione di Mauro Teti (guest)

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