Lungi da me cadere nella trappola della recensione scritta per suffragare una tesi o un’opinione, che per quanto legittima, è pur sempre soggettiva, ma dopo aver sentito più e più volte il nuovo disco dei Rival Sons – già disponibile nei negozi e sulle piattaforme digitali su etichetta Atlantic – non ho potuto resistere. Vi piacciono i gruppi che guardano al passato? Adorate percepire tra i solchi delle canzoni qualcosa di familiare? Ma soprattutto: vi piacciono le canzoni “belle”? Oggettivamente “belle” intendo, che non prestano il fianco a critiche; se avete risposto “sì” a tutte queste domande, “Darkfighter” è il disco che fa per voi.
I Rival Sons adorano gli anni ’70, ma li guardano senza nostalgia e hanno capito come e quanto prendere dal passato senza suonare come semplici copie carbone senza anima e senza dignità. La loro è un’arte tanto antica, quanto difficile, proprio come quella dei pittori del Rinascimento, che si ritrovavano a dover dipingere soggetti codificati ma che riuscivano sempre a far loro grazie alla loro personalità.
“Darkfighter”, come i precedenti, è prima di tutto un album di canzoni: otto in tutto per poco meno di 40 minuti. Non temete, ci troverete tutto quello che avete sempre amato con non poche sorprese. Jay Buchanan e Scott Holiday insieme a Michael Miley, Dave Beste e al nuovo Todd Ogren alle tastiere, sotto la supervisione dell’immancabile Dave Cobb, vi investiranno di suoni che sono come sentimenti: ora forti, ora dolci ma sempre veri e capaci di insinuarsi nella vostra mente così come nel vostro corpo. Musica intensa tanto pensata quanto istintiva, viva e pulsante.
Per una “Mirrors” posta in apertura e che invita a guardarsi allo specchio e volgere lo sguardo oltre se stessi, ad aspirare a qualcosa di intangibile e profondo risponde l’adrenalinica “Nobody Wants To Die” così meravigliosamente senza fronzoli. È questo lo spirito del disco: ribaltare costantemente le coordinate. Ecco quindi “Bird In The Hand” con quel tocco british che rimanda subito ai Kinks, e l’esperimento pop – riuscitissimo – di “Bright Light”. Canzoni che girano, con melodie chiare e un arrangiamento che è ricco senza togliere quel gusto per l’essenziale che è da sempre un marchio di fabbrica della band.
E quando pensiamo di essere già soddisfatti, la band infila in sequenza due canzoni che si preparano a fare burro fuso delle nostre emozioni. “Rapture” è tutto quello che una grande canzone dovrebbe essere: sorprendente, ammaliante, ricca di pathos e di un inspiegabile desiderio di entrare in contatto con l’angolo più profondo della tua anima. “Guilottine” invece ti fa sentire il freddo della lama sulla gola e ti ricorda che tutto è una questione di attimi, di frammenti di gioia che ci accompagnano alla fine: Am I closer to heaven, or closer to hell? The deeper I go, it’s harder to tell.
In questo disco non c’è spazio per la finzione, per il copia/incolla farlocco, per osare senza avere le reali possibilità, la musica dei Rival Sons è vera e va vissuta senza filtri, abbandonandosi a essa senza inibizioni e paure perché parla all’anima e tutto quello che ci definisce ma che troppo spesso non osiamo confessare.
Articolo di Iacopo Meille
Track list “Darkfighter”
- Mirrors
- Nobody Wants To Die
- Bird In The Hand
- Bright Light
- Rapture
- Guillotine
- Horse’s Breath
- Darkside
Line up Rival Sons: Jay Buchanan voce e chitarre acustiche / Scott Holiday chitarre elettriche e acustiche / Michael Miley batteria / Dave Beste basso / Todd Ogren tastiere