L’album “Nashville Tears”, uscito il 14 Agosto 2020, rappresenta il gradito ritorno dell’artista britannica Rumer, all’anagrafe Sarah Joyce, già conosciuta per il disco di debutto “Seasons of My Soul” (2010), doppio platino in UK, e per il successivo “Boys Don’t Cry”, che si è aggiudicato un disco d’oro.
Registrato negli StarStruck Studio di Reba McEntire, il disco è una raccolta di quindici brani scritti dal noto cantautore country Hugh Prestwood, e suonati a regola d’arte dai migliori musicisti del panorama musicale di Nashville (Mandy Barnett, Pat Buchanan, Matt Dame, Stuart Duncan, Tania Hancheroff, Lorrie Harden, Tommy Harden, Mike Johnson, Kerry Marx, Gordon Mote, Larry Paxton, Scotty Sanders, e Bryan Sutton): slide guitar e pedal steel, ballate morbide e ritmi più sostenuti, il tutto splendidamente accarezzato dalla voce limpida e rassicurante della Joyce.
Se alcuni dei pezzi sono rifacimenti, per altri si tratta di una prima incisione e in entrambi i casi si percepisce la grande cura nell’avvicinarsi alle opere di un personaggio iconico: Non vedo l’ora che altri amanti della musica scoprano il magnifico catalogo di Hugh Prestwood. Sono assolutamente certa che saranno tanto grati quanto lo sono io per averlo trovato.
La cantautrice si immerge totalmente nelle parole altrui con estrema sensibilità, è un’interprete essenziale, tutta la sua intensità risiede nella sincerità della sua voce che, con mille sottili sfumature, non cerca nulla di più di ciò che vuole dire.
Buona parte del disco resta immersa in atmosfere pacate, a tratti struggenti, a cominciare dai due brani in apertura: “The Fate of Fireflies”, una vera e propria poesia con gli archi a dare il benvenuto, e “June It’s Gonna Happen”, romantico invito a non perdere le speranze, perchè l’estate dopotutto ad un certo punto arriverà a regalarci il suo carico di aspettative e desideri e i suoi orizzonti sconfinati.
Emerge fin da subito l’interpretazione riuscitissima, in particolare dei brani più intimi (tra gli altri: “Oklahoma Stray”, “Ghost in This house”, “The Songs Remembers When”): l’artista sa ridurre al necessario il canto e raccontarsi, riempiendo completamente lo spazio dell’ascolto ogni volta che la voce si apre a riflettere la luce e le ombre, come in “Here You Are”, dove ad accompagnarla è solo il piano.
Andamento contagioso invece, e sud caldo e rovente proprio come il titolo, in “Deep Summer in The Deep South”, più o meno a metà della track list: chitarra slide e Dobro giocano accattivanti, difficile resistere alla tentazione di muoversi. A seguire un salto indietro nel tempo con “Heart Full of Rain”, decisamente più ispirata alla tradizione country più autentica, con le sonorità familiari di pedal steel, mandolino e archi, e “Hard Times For Lovers”, che nel 1978 fu la prima vera hit di Prestwood, cantata da Judy Collins.
“Nashville Tears” è una raccolta di quindici brani brani ricca e scorrevole, che rende omaggio a un grande cantautore e soprattutto alle notevoli capacità vocali e interpretative di un’artista dal talento genuino. Non resta che ascoltare.
Articolo di Valentina Comelli
Track list “Nashville Tears”
- The Fate Of Fireflies
- June, It’s Gonna Happen
- Oklahoma Stray
- Bristlecone Pine (featuring Lost Hollow)
- Ghost In This House
- Deep Summer In The Deep South
- Heart Full Of Rain
- Hard Times For Lovers
- Starcrossed Hanger Of The Moon
- The Song Remembers When
- That’s That
- Here You Are
- Learning How To Love
- The Snow White Rows Of Arlington
- Half The Moon