Premessa: chi scrive non ha mai visto una sola puntata di X-Factor. E forse ne vado fiero. All’uscita di “Dove sono finiti tutti?”, l’8 aprile per Fiabamusic, ho dovuto cercare su YouTube per ricordarmi dove avevo sentito i The Bastard Sons of Dioniso. Ed eccoli: a X-Factor, terza edizione 2009, nello splendore dei 4:3, senza strumenti, lì quasi per sbaglio. Quando i Måneskin erano alle elementari, quando la TV chiese loro di trasformarsi in una sorta di Bee-Gees dai suoni un po’ grezzi e bastardi, loro erano lì. Arrivarono secondi. Da allora hanno consolidato quello che erano stati prima, e che sono rimasti dopo: un power trio con la capacità di fare buon Rock in italiano, un gruppo che ha aperto per Ben Harper, Robert Plant e Green Day. Scusatemi ragazzi: pentito, sono andato a riascoltare tutta la discografia passata, ben otto album e diversi riconoscimenti, ed è stato un viaggio davvero piacevole.
Con questo lavoro escono a modo loro dal periodo pandemico con un interrogativo che sancisce la destrutturazione subita dal mondo dello spettacolo: ci sarà qualcuno “giù dal palco” ad ascoltare? E soprattutto, ci sarà qualcuno “sopra” al palco? Ricco di frasi memorabili e acuti giochi di parole spesso ironici ma mai goliardici, questo album dei TBSOD contiene otto tracce come spesso accadeva nell’era del vinile, e per contrastare un’altra destrutturazione, quella degli album come “aggregati di MP3” figlia dei tempi dello streaming, è concettualizzato in due metà, anzi, “facciate”. La prima sogna di spiagge e mare, con tutto ciò che ci si può trovare dentro, squali compresi; la seconda, nella quale leggo soprattutto la volontà di essere altrove, o di essere altro, è descritta delle note di stampa colonia: mari e monti, posto temporaneo di vita insieme, nella clausura votata al social, nell’altrove dove essere ribelli e mai qui.
“Sirene” è il primo brano – cosa sono le sirene? La vita on the road che chiama quasi come una tentazione, impossibile però da raggiungere, se non pericolosa come per Odisseo? Un riff poderoso e secco supporta un testo italiano che grazie all’uso diffuso di accenti sdruccioli e parole tronche, pervasivi in tutto l’album, fa risultare il nostro idioma credibile anche quando appoggiato su un genere anglofono come questo. Il brano presenta una bella parte di fiati quasi beatlesiana a opera degli ospiti Massimo Costa alla tromba e Luca Frisanco al flicorno baritono (compito per domani: disegnate un flicorno baritono senza usare Google), e il ritornello mi richiama alla memoria “Burattino Senza Fichi” di Elio e Le Storie Tese che con la band divisero il palco a X-Factor e il riferimento è una lusinga.
“Il tuo tesoro”: chissà cosa intendono, sarà forse una cosa di Tolkieniana memoria, diversa per ognuno di noi. L’intro di sintetizzatore di Clemente Ferrari dà un sapore anni ’80 al brano. Arriva la intro di “L’isola di chi” e non si può evitare di ricordare “L’isola che non c’è” di Edoardo Bennato, ma poi un va a cagare nel testo lancia un ritmo indie su cui l’italiano si incastra bene con frasi intriganti (prendila così… con filo… spinato), sempre ricche di sdrucciole, e in modo dicotomico i cori cantabili ricordano quasi l’Équipe 84. Una parte di basso circolare sostiene questo funambolismo verbale tipico della scrittura dei TBSOD. Il singolo “Tali e squali” è un solido pezzo rock con la intro di batteria che arriva da “dietro l’angolo” e lancia poi un riff rock and roll bello sporco, ma ha un ritornello perfettamente armonizzato.
Passiamo alla seconda facciata (sì, facciata, problemi, Spotify?) che si diparte dai lidi marini per spaziare verso altri territori e apre con “Ribelli altrove”, altro singolo dal riff che non fa provare invidia per i Royal Blood, ma con una melodia sempre dalle sonorità psichedeliche e un po’ anni ‘70 e con uno dei brillanti assoli del disco. Anche “Restiamo umani”, dal ritmo sostenuto, apre con un riff rock con echi rollingstoniani, o stavolta propriamente zeppeliniani da “Houses of The Holy”, ma è una canzone italiana cantabile e ascoltabile così come il suo assolo, che invece di seguire la facile strada dello “shred” sceglie la melodia, quasi fosse stato prodotto da Bob Ezrin. L’uso di parole italiane metricamente compatibili con il Rock e la ricerca verbale con rime interne come “tu – inquietu-dine” spicca anche qui.
“Ti piace o no?” è una ballad acustica con intro, verrebbe da dire, alla Greta Van Fleet, ah no, alla Led Zeppelin meglio, ma prende poi un andamento che ricorda da vicino “Sweet Home Alabama” e sostiene la polifonia vocale perfetta con i cori delle ospiti Sara Picone, Ambra Marie e Caterina Cropelli. Su questa si dipanano le sempre ironiche rime, e un assolo a più chitarre che mantiene il riferimento Southern Rock, il tutto sempre su armonie Sixties-Seventies. Per l’ultimo brano, “È l’ora” di restare zeppeliniani con una intro di organo, preludio a un ritmo veloce che ci ricorda meglio gli inizi più selvatici di questo gruppo, con vocalità sempre italianissima e l’eredità del Rock anni ’70. Altri ospiti del disco sono Tommaso Pedrinolli alle percussioni e Alessandro Serioli a synth e tastiere.
“Dove Sono Finiti Tutti?” è un album da ascoltare e ascoltabile, che non tradisce però l’identità Rock di questa band che ha ancora energia da vendere e grande maturità nelle armonie.
Articolo di Nicola Rovetta
Tracklist “Dove Sono Finiti Tutti?”
Lato A
1. Sirene
2. Il tuo tesoro
3. L’isola di chi
4. Tali e squali
Lato B
5. Ribelli altrove
6. Restiamo umani
7. Ti piace o no?
8. È l’ora
Line up The Bastard Sons Of Dioniso: Michele Vicentini voce, chitarra / Jacopo Broseghini voce, basso / Federico Sassudelli voce, batteria
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