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The Darkness

The Darkness “Motorheart”

Un carosello di sfacciate citazioni stilistiche e di generi musicali che sono la cifra della stravaganza barocca della band

Chi ascolta tutto di The Darkness può ascoltare anche questo album, uscito per Cooking Vinyl/Egea Music. È bella musica, è lo stile a cui ci hanno abituati nei loro album migliori; è un album forse più duro e veloce di tutti i precedenti. Manca forse qualche inno corale come i brani radiofonici che li hanno resi famosi.

Chi invece non ascolta tutto, forse non trova la ragione per ascoltare proprio questo, a meno che non li conosca per niente, perché allora può iniziare da qua a gustare il pot-pourri kitsch ma irresistibilmente diretto e sincero di questi non più ragazzi del Surrey con bassista scozzese. Preparatevi a un carosello di sfacciate citazioni stilistiche e di generi musicali che sono la cifra della stravaganza barocca di questa band. Con una dose in più di Guns’n’Roses, a detta di Justin Hawkins. E se non volete sentire parlare di riff, e non vi piacciono gli assoli di chitarra, questa recensione non è per voi.

L’inizio è dinamitardo con “Welcome Tae Glasgae”, ricco di energia, che trasuda sound Queen dei primi album con l’aggiunta di Metal, cornamuse, elettronica e armonie orientaleggianti.

Riff: da head-banging. Ogni tanto fa capolino la voce dell’anti-Justin, con cui il cantante-chitarrista ci ha sorpreso ad esempio nella celebre “Open Fire”, e ovviamente arriva l’assolo immancabile e cristallino. “It’s Love, Jim” – è un secondo pezzo heavy quasi in stile Motörhead, su cui però Justin piazza la sua voce melodica e in falsetto, creando la commistione che ha portato il bassista Frankie Poullain, come raccontato a Neville Hardman di Alternative Press in un’intervista,  a notare che questo album suonava come un incrocio fra i Motörhead e le Heart, scatenando la fantasia di Justin nel creare il pezzo seguente, appunto “Motorheart”, uno dei pezzi chiave dell’album oltre che primo singolo uscito.

“Motorheart” è un robot pensato per dare piacere sessuale, dal “petto metallico extra-large”, che quando ci si stufa di lei può essere spenta e messa in carica e necessita di un cacciavite per essere svestita. Ovviamente niente è stato fatto per non esporsi a eventuali accuse sessiste, ma in un’intervista a Billboard Justin mostra la maturità intellettuale raccontando di essere certo del fatto che chi conosce The Darkness sa benissimo che il brano non è espressione di un pensiero ma è solo scritto dal punto di vista di un “idiota”, che nega a se stesso che i suoi problemi relazionali siano generati soltanto da lui. I fan hanno imparato ad accogliere le boutade politicamente scorrettissime di Justin e “famiglia”, che usano l’ironia come arma di distruzione di massa.

Riff: ancora orientaleggianti. Il brano ha stop mozzafiato ed echi Metal su cui si snodano il canto con R arrotolate di Justin e il solito falsetto. Ha un irresistibile ritornello anni ‘80, per poi sconfinare in un’accelerazione che ricorda brani degli Sweet e in un assolo che usa intervalli inaspettati, chitarre doppiate alla Brian May e cambi di tempo in una quasi-suite che si conclude come se David Gilmour avesse deciso di suonare su un pezzo dei Tool. Si entra poi in una serie di brani meno veloci, a partire da “The Power And The Glory Of Love”.

Riff: molto AC/DC, e bridge che a me ricorda sempre i primi Queen, mixato con un ritornello più seventies a metà fra i Led Zeppelin di Houses of the Holy e gli Who. Il ritornello, accattivante ma non all’altezza della storica “I Believe in a Thing Called Love” che li ha resi famosi, e che i Darkness sembrano voler da sempre ritrovare, lascia poi il posto all’assolo, curato come al solito. Di cosa vi posso parlare per “Jussy’s Girl”? Dei riff, compositivamente simili ai Van Halen ma non distorti, e dell’arrangiamento con la voce in primo piano, forse registrata nello studio casalingo di Justin in Svizzera. Il brano ha un andamento che ricorda “My Sharona” e i Def Leppard. Ah, e… l’assolo, filologicamente strutturato in coerenza con la canzone, è nello stile più vanhaleniano con armonici e note stoppate.

“Sticky Situations” è una ballad che inizia a tempo di valzer e suona come se i Darkness, dopo una masterclass con i Queen, avessero hackerato Frozen e avessero creato la loro aria da musical, però malato. Il consueto assolo vede stavolta Justin far scivolare il bottleneck prima di far sfociare il pezzo nel ritornello maestoso.

Il tempo torna veloce con “Nobody Can See Me Cry”. Riff: Rock and Roll, a una velocità da richiamare nuovamente i Motörhead accoppiato come in altri brani al consueto falsetto e a parti pop, che ci fanno chiedere se i Darkness citino i Queen o se, attuando la stessa operazione artistica di pastiche tra i vari generi Rock e non Rock, arrivino allo stesso risultato. Anche qua l’assolo non manca ed è introdotto da qualcosa che non vi aspetterete mai: un riff, interlocutorio, che lancia un forsennato accelerando. Torniamo a bpm più accessibili con “Eastbound”.

Riff: pop rock anni 80, e i riferimenti del brano stanno fra Suzi Quatro e i Devo, anche se, in tipico stile Darkness, non mancano voci in diretta e colpi di tosse nel break centrale. Ha un bridge irresistibile che ci trascina in un ritornello quasi Country Rock, e l’assolo va di conseguenza, fino a includere nell’outro il lick di chitarra reso famoso da Ed King in “Sweet Home Alabama”, che non per niente è citato anche nella menzionata “My Sharona” dei The Knack.

“Speed Of The Nite Time” è forse la vera novità dell’album, che chiude in modo inaspettatamente New Wave richiamando più i Cult e a tratti gli Ultravox che i Guns’n’Roses o gli AC/DC. Che sia un preludio a nuove sonorità che ci aspettano?

Articolo di Nicola Rovetta

Tracklist “Motorheart”

  1. “Motorheart”
  2. Welcome Tae Glasgae
  3. It’s Love, Jim
  4. Motorheart
  5. The Power And The Glory Of Love
  6. Jussy’s Girl
  7. Sticky Situations
  8. Nobody Can See Me Cry
  9. Eastbound
  10. Speed Of The Nite Time
  11. You Don’t Have To Be Crazy About Me… But It Helps *
  12. It’s A Love Thang (You Wouldn’t Understand) *
  13. So Long (bonus deluxe tracks)

Line Up The Darkness

Justin Hawkins – voce, chitarra / Dan Hawkins – chitarra,  cori / Frankie Poullain – basso / Rufus Taylor – batteria

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