“Getting Into Knives”: titolo aggressivo e tagliente per The Mountain Goats, la band californiana che in questo periodo di chiusure causate dalla seconda ondata Covid esce il 23 ottobre 2020 col diciannovesimo album. 19. In 29 anni. Mica male. Sul loro sito di merchandising, oltre alla versione vinile e CD, si trova anche la musicassetta, casomai vi interessasse anche quel tipo di atmosfera lì.
La band ormai stanziata in North Carolina è infatti entrata in studio quando in Italia l’ondata era solo la prima, all’inizio di marzo, con il chiaro intento di portare avanti una registrazione particolare: the Mountain Goats infatti seguono dagli anni ’90 una filosofia low-fidelity caratteristica del loro sound indie folk. Come in ogni mia recensione vi risparmio dettagli che trovate comodamente sul web, come storia della band, componenti simpatici e antipatici, nomi sconosciuti … e passo a ciò che è il valore aggiunto che potete andare a trovare in queste righe: il disco.
Trovo doverosa una premessa di gusto personale: mi piace. Non mi sbilancio spesso nelle recensioni cercando di mantenere equilibrio magari celando entusiasmo. Qui non urlo al miracolo, sicuramente, ma trovo che il mood che permea il disco sia semplicemente giusto. Non è un disco “che spacca”, non è un disco da riflessione o da viaggio come tanti di quelli che abbiamo visto, questo è un disco da casa. Si, da casa.
È esattamente quel disco che dovreste mettere mentre state riordinando la sala in attesa della persona che ha inaspettatamente accettato un invito a cena a casa vostra. È il disco che mettete quando è domenica mattina, tarda mattina, e pensate che il mondo vi sorride il giusto per poter investire una giornata intera sul restare a contemplare la bellezza di non fare nulla magari con la persona della cena.
I brani sono 13 per la durata di quasi un’ora. Sono registrati con una spazialità elegante, la batteria è molto “indietro”, deliziosamente acustica e spazzolata, viene carezzata per reggere un’armonia raccontata da un basso/contrabbasso mai invasivo, mai “grosso”, tipico del cantautorato.
Un organo Hammond, un piano, una fisarmonica svolgono un raffinato accompagnamento sempre non invadente e formante l’opposto di quello che nel Rock è chiamato il muro di suono. Qui la spazialità lascia aria per i singoli strumenti, sentite cosa succede, costantemente, ma spesso potete permettervi che questo non vi interessi. La voce. John Darnielle, autore di ogni brano. È gradevole, è cantautorale nel cuore, ma con una gentile accezione contemporanea nonostante quasi trent’anni di carriera.
Queste sonorità si dispiegano agilmente, aprendo il disco con un brano saltellante e allegro “Corsican Mastiff Stride” che immagino di vivere attendendo una eventuale sopracitata ragazza dai lunghi capelli castani che sta arrivando a trovarmi, “Get Famous” tiene ritmi più morbidi nonostante un rullante che squadra l’ambiente sonoro, da qui ci si sposta su uno dei miei brani preferiti “Picture Of My Dress” che mi ha fatto sorridere quando parla di Steven Tyler (non vi racconto, però, cosa ne dice). “As Many Candles As Possible”, primo singolo dell’album, non gode dei miei favori, mentre, “Tidal Wave” quinto brano è invece una piccola opera d’arte, il basso fa UNA nota per tutto il brano, stessa figura ritmica insieme alla batteria, ma i fiati e l’organo fanno crescere l’intenzione per i suoi quasi cinque minuti e mezzo. Godetelo. Merita.
I successivi tre brani mantengono il mood senza particolari guizzi, come se ci lasciassero il tempo di scambiare due parole con chi è finalmente arrivato e ci fissa con enormi occhi scuri. “The Great Gold Sheep” è un brano che arriva al momento opportuno, quello in cui finalmente il mondo gira per il verso giusto, in cui il basso racconta qualcosa in più, scaldando il suono per il gran finale. Tre brani nuovamente di carattere e non scontati, che scivolano fino alla title track, tenuta sapientemente all’epilogo. “Getting Into Knives” è esattamente il brano che vi aspettate mentre i titoli di coda scorrono sull’intera vicenda, qualsiasi essa sia. Ma sapete che è andato tutto bene.
Finisce così “Getting Into Knives”, diciannovesimo album dei the Mountain Goats (mentre scrivo ho rimesso in loop “Tidal Wave”). È una storia che merita di essere ascoltata e che faccia da colonna sonora a quello che è una nostra piccola storia che abbiamo da raccontare. Un aspetto che ho particolarmente apprezzato di questo disco è l’essere contro una tendenza che si delinea quotidianamente nella musica attuale: “Getting Into Knives” nelle sue sonorità, nelle sue tinte leggere, non vuole imporsi, non vuole essere nulla di deciso e invadente. È un disco per sorridere e lasciarsi cullare.
Articolo di Marco Oreggia
Tracklist “Getting Into Knives“
- “Corsican Mastiff Stride”
- “Get Famous”
- “Picture of My Dress”
- “As Many Candles As Possible”
- “Tidal Wave”
- “Pez Dorado”
- “The Last Place I Saw You Alive”
- “Bell Swamp Connection”
- “The Great Golden Sheep”
- “Rat Queen”
- “Wolf Count”
- “Harbor Me”
- “Getting Into Knives”
Line up the Mountain Goats: John Darnielle voce, chitarre, piano / Peter Hughes contrabbasso e basso / Matt Douglas cori, tastiere, chitarre, fisarmonica / Jon Wurster batteria e perussioni