The Pretty Things, perché qui si recensiscono solo “cose belle”. Ok, l’inizio era scontato, scontatissimo, visto il nome di questa meravigliosa band. Penso che qualcuno possa non conoscerli, quindi spendo qualche parola su questi ragazzini che hanno suonato insieme dal 1962 a questo maledetto 2020.
Si, perché il disco che mi accingo a recensire “Bare as Bone, Bright as Blood”, uscito il 25 settembre 2020 su Madfish Music, è una sorta di testamento artistico in onore del loro cantante, Phil May, che il 15 maggio di quest’anno è stato reclutato nella Big Band dall’Altra Parte. Devo partire da distante, solo per citare dettagli non trascurabili, dobbiamo ricordare che sotto il nome The Pretty Things hanno suonato una valanga di musicisti (più di 30 in quasi 60 anni di carriera).
Tutto partì da una formazione iniziale col nome di Little Boy Blue and the Blue Boys, alcuni ragazzini come il chitarrista Dick Taylor, pilastro di The Pretty Things, che vedeva al suo fianco Keith Richards e Mick Jagger (si, maledizione, LORO!). I tre all’epoca si unirono con la band di Brian Jones, cambiando il nome in Rolling Stones e Taylor passò al basso, per poi annoiarsi della carenza di corde e farsi convincere da Phil May a tornare sui suoi passi insieme a John Stax, Brian Pendelton e Pete Kitley.
Da qui, potete comodamente leggere su Wikipedia milioni di aneddoti, incroci, collaborazioni con buona parte dei mattoni che compongono l’infinito mondo della Storia della Musica, fino ad arrivare ai giorni nostri, quando il cantante Phil May è mancato.
Ora la palla torna a noi. Sappiamo discretamente cosa aspettarci da un disco, visti i colossi che si muovono ancora sullo sfondo e l’aura di Phil May che aleggia su questa produzione. Questo però non è sufficiente, in quanto questo disco ha una ulteriore spinta romantica: Phil era malato ormai da parecchio, le sue condizioni non erano delle migliori ma aveva comunque voluto registrare un ultimo disco acustico.
Tenete conto che The Pretty Things è sempre stata una band travolgente e potente, il voler produrre un lavoro acustico, intimo, quasi sofferente e graffiante nell’anima è stata una scelta profondamente artistica, nel vero e puro senso di questa parola. È stata la volontà di trasmettere la profondità e la fragilità di un amore che si è legato alle ossa di ogni membro della band, a partire da Phil e Dick.
Vi sto costruendo aspettativa? Lo spero, perché se amate il Blues, il Rock, amate le chitarre suonate da dita esperte, se adorate il trasporto di una armonica e il calore di una voce radicata nella musica come un vecchio ulivo, allora potete lasciare entrare in una vostra serata questo momento di bellezza.
Il disco consta di dodici brani, si snoda tra reinterpretazioni di grandi classici del Blues, alcuni a loro volta ri-arrangiati da altri grandi, ripenso a “Come Into My Kitchen” (che ho amato particolarmente nella versione Allman Brothers) o a “Love in Vain” che è datata 1937, vergata dalla sapiente mano di Robert Johnson e resa celebre dai “compagni” di Dick Taylor nel 1969.
Un’altra parola va spesa per “Black Girl”, un brano caldo di Folk statunitense di cui si perdono le origini più di 150 anni fa, in quanto tutta la mia generazione di musicanti la conosce a memoria per lo scambio di battute tra Cobain, Grohl e Novoselic, durante la chiusura dello storico Unplugged dei Nirvana: qui la semplicità dell’esecuzione dei Pretty Things è talmente toccante e personale da ragionarla come un brano a sé stante, e la cassa che scandisce il passo colpisce perfettamente alla bocca dello stomaco, chiudendo per qualche minuto le percezioni del mondo esterno.
Per terminare il discorso sui brani, spendo ancora un istante della tua attenzione sulla title track “Bare as Bone” che incarna l’anima del disco stesso, è un brano propositivo nei toni e nel mood, malinconico a tratti, da ascoltare con gli occhi chiusi e il silenzio nella stanza. È il sussurro di un amico che saluta, ma lo fa a modo suo.
In genere a questo punto di una recensione bisogna pensare se il disco ha qualche limite, vincolo, qualche aspetto che possa rendere queste righe non solo positive, ma qui non ha senso. Innanzi a un lavoro di questa caratura si rimane in silenzio, si sorride per la grandezza della Musica, che in un modo o nell’altro arriva sempre a noi, e si ascolta la chiusura “I’m Ready”, con quel brivido che percorre l’anima di ognuno quando saluta una persona cara per un’ultima volta.
A Phil May. Con profondo ringraziamento.
Articolo di Marco Oreggia
Track list “Bare as Bone, Bright as Blood”
- “Can’t Be Satisfied”
- “Come into My Kitchen”
- “Ain’t no Grave”
- “Faultline”
- “Redemption Day”
- “The Devil Had a Hold on Me”
- “Bright as Blood”
- “Love in Vain”
- “Black Girl”
- “To Build a Wall”
- “Another World”
- “I’m Ready”
Line up The Pretty Things
Phil May: Voce
Dick Taylor: Chitarra/Chitarra Slide
George Woosey, Henry Padovani: Chitarra
Sam Brothers: chitarra, banjo, armonica
Jon Wigg: Violino
Mark St.John: Percussioni