“Bloodstone” di Thomas Frank Hopper si candida per essere uno degli album dell’anno fra quelli usciti in Italia (dato che in patria, in Belgio, circola già dal 2021). Ne sono certo. A un primo ascolto si tratta di una vera bomba. Certo, non è destinato a cambiare le sorti della storia del Rock che, in questi anni, è un genere ormai instradato per diventare di nicchia o, al massimo, potrà resistere con stile ai cambiamenti climatici della produzione musicale. Nessuno, infatti, dovrebbe ai giorni nostri aspettarsi un Avvento. Caso mai, nel migliore dei casi, si può gioire per una buona Epifania. Bene, dato che la cosa è ormai certificata anche da molti critici ed è spiegata in molti volumi, possiamo procedere senza tante chiacchiere.
Per risollevare le sorti di questo ecosistema in forte difficoltà, e che ha esattamente gli stessi problemi di quello che ci mantiene in vita, non serve però rifugiarsi nel copiare il passato. L’operazione dei Greta Van Fleet per intenderci – chi scrive è stato al loro primo concerto in Italia, a Bologna, qualche anno fa – è per certi versi pregevole ma destinata a provocare altra aridità ad un corso d’acqua, quello del Rock, già in agonia. Non tanto per la produzione, quando per l’innovazione e per la capacità di essere dirompente. Ripeto – dato che sempre giova, è cosa risaputa – copiare non è mai cosa buona e giusta. Anzi, semmai è un perseverare del tutto diabolico. Per ben che vada si deve semmai lavorare di rampino, come ebbe a dire il poeta Giovan Battista Marino, il quale scrisse anche un’altra cosa interessante e che si addice al nostro discorso: é del poeta il fin la meraviglia, parlo dell’eccellente e non del goffo, chi non sa far stupir, vada alla striglia! Ecco, qui c’è tutto quello che serve per capirci. Chi copia e per di più scimmiotta, insomma, vada a fare altro e, allo stesso tempo, venga ben messa in evidenza questa sua prassi che non aiuta e non giova a nessuno.
Non è il caso di Thomas Frank Hopper che arriva sul mercato italiano con un ottimo disco rock – a tratti blues – e con una consapevolezza importante. Certo, ci si prodiga sempre nel cercare gli eredi di… Qui la critica si scomoda, come già fece per i Greta van Fleet, per avvicinare il Nostro alla somma divinità del rock, e cioè Robert Plant. La differenza dove sta con quanto fatto dai Greta? Semplicemente nel fatto che il vocalist Josh Kiszka – e chi li ha visti e ascoltati dal vivo ha potuto osservare quello che vado dicendo – cerca di copiare Plant senza alcun ritegno (ma dal vivo la cosa non regge), mentre Hopper ha lo stile di Plant. Non copia insomma, è se stesso ed è davvero un artista che ha nelle sue corde quel modo di fare, interpretare e incarnare il Rock. Visti alcuni filmati va detto che Hopper non ha la spudoratezza che Plant, dopo i primi anni, aveva fatto sua (si veda, a tal proposito, quello che scrive Bob Spitz nella monografia “Led Zeppelin” – qui la nostra recensione).
Allo stesso tempo non va dimenticato che Thomas Frank Hopper (alias Thomas Verbruggen) è un cantante, cantautore e musicista belga con alle spalle una giovinezza passata in Africa. In quanto chitarrista, è specializzato in lap steel. Insomma, sul piatto della bilancia, senza considerare la storia, e restando ai box di partenza, Hopper ha delle qualità e competenze che Plant non aveva all’epoca del suo debutto, e cioè quando venne scoperto, e che lo stesso Kiszka si sogna. Quindi, si parte bene. Poi la storia, ovviamente, darà il suo giudizio. Mi riferisco ai due giovani, non di certo a Plant. Quindi, queste sono le premesse per l’ascolto di “Bloodstone” che è stato anticipato da alcuni singoli davvero interessanti, e cioè “Into the water”, “Dirtylicious” e “Come Closer”.
Ascoltati questi tre brani, rispettivamente le tracce 5, 3 e 2 dell’album che esce in Italia il 30 settembre 2022 per la VREC Music Label, che ancora una volta si conferma ottima fucina di buona musica, prendete in mano i lavori del passato. L’esordio è del 2015 con un ep di cinque canzoni dal titolo “No Man’s Land” al quale segue, nel 2018, un nuovo ep di quattro brani prodotto da Marc Gilson & Olivier Peeters. Il vero esordio arriva, ora, con l’album “Bloodstone” che è uscito nel 2021 in Belgio e licenziato in esclusiva per Italia, Svizzera e San Marino da Vrec Music Label in questo 2022.
“Bloodstone” è stato prodotto da Hopper e registrato senza click recording, autotune, seguendo l’istinto della musica Seventyda Alexandre Leroy presso lo Studio Six a Bruxelles. Nell’album il brano “Bad Business” vede la partecipazione del famoso chitarrista belga Frederic Lani (Fred & the Healers). Dodici canzoni registrate come negli anni’70: Classic Rock con chitarre potenti e assoli alla ricerca di un sound sporco e vero. Come nella title track “Bloodstone” o nella cavalcata incessante “Come Closer”. Non mancano i brani più sexy e funky come “Dirtylicious” o “Sweet Black Magic Sugar Babe”. Serve dire altro? Si, mi sia concesso.
“Bloodstone” è un album che riappacifica con il Rock classico che, oggi, viene considerato materiale da museo e da maxi raduni. Le vendite sono buone su ciò che è stato del passato, ma i nuovi lavori stentano a decollare. Credo che il pubblico del Rock debba anche riacquistare fiducia, e non solo i vinile in 180 gr delle vecchie glorie. Il popolo del Rock deve investire anche in chi prova a resistere, e lo fa con qualità e stile proprio.
Certo, seguendo la metafora, i cambiamenti climatici che hanno investito il mondo della musica sono ormai irreversibili. Aridità e siccità, su certi generi, creeranno isole deserte, popolate da nostalgici che, appena il meteorite si abbatterà sugli ultimi dinosauri in circolazione, saranno destinati ad essere come i famosi reduci giapponesi trovati, solitari, nelle isola e convinti che la guerra fosse ancora in corso. Ecco perché serve crederci nei prodotti buoni. E investirci. È il caso di “Bloodstone” che deve anche esser fatto circolare con il sano e genuino passaparola. Ascoltatevi a volume brillante “Into The Water”, traccia che non ha nulla da invidiare al sano Blues Rock Made in UK (poi ricordatevi che questo mood arriva dal Belgio, patria di Brassens); stessa cosa per “Mad Vagabond” e “Savages”, brani che ci portano invece negli USA, come d’altronde la traccia che apre l’album e che dà il titolo all’intero lavoro, e cioè “Bloodstone”.
Hopper dimostra che non c’è da temere nulla e nessuno. I soli di chitarra si possono e si devono comporre ancora; la voce può e deve fare la differenza in un brano (e non snocciolare, in modo più o meno ritmato, file infinite di parole) e che, infine, l’alchimia del Rock nasce sempre da quattro strumenti: chitarra, basso, batteria e voce. Si possono poi aggiungere, sapientemente dosati, i fiati, come la tromba – e quanto ricorda il sound di Davis quella che Hopper inserisce nella parte finale di “Into The Water” – e anche altri effetti che portano, per un po’, lontano da quanto si è ascoltato fino ad ora. Queste incursioni, però, non sono mai fine a se stesse e non diventano, in questo lavoro, artifici retorici per mascherare povertà di idee.
Poi, per proseguire, prendete in blocco le tracce 4, 5 e 6, e cioè “Sweet Black Magic Sugar Babe”, la già citata “Into The Water” e “Tomb of the Giant” per capire quanto i Led Zeppelin, se ben studiati, possano influenzare ancora oggi del buon blues-rock fatto davvero bene, pur se in Belgio. Ah ecco, “Tomb of the Giant” è anche una bellissima ballata… ma davvero bella, che ha un tappeto di voci che rimanda quasi a certe soluzioni Prog. “Crazy Mojo” insieme a “Missisipi” che chiude l’album, sono due Blues che sembrano arrivare direttamente dalle sponde del lungo fiume, se non fosse per la voce che – questo va detto – è tutto fuorché blues. Ma forse è l’unico neo di questo ottimo, davvero, lavoro del giovane Hopper.
Articolo di Luca Cremonesi
Tracklist “Bloodstone”
1. Bloodstone
2. Come Closer
3. Dirtylicious
4. Sweet Black Magic Sugar Babe
5. Into The Water
6. Tomb of the Giant
7. Tatanka
8. Dab Business
9. Crazy Mojo
10. Mad Vagabond
11. Savages
12. Mississippi