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30/12/2024

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I Hate My Village, Molfetta (BA)

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I Hate My Village, Caserta

05/01/2025

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Il videoclip che non c’è: The Doors “The Spy”

Soggetti per videoclip mai realizzati: è la volta di The Doors, dall’album “Morrison Hotel”

I passi dinoccolati di Doug procedono lungo le strade assolate di Los Angeles allontanandosi dal mare, inoltrandosi nella Downtown. I colori accesi della City si spengono: il giallo vira in terracotta, il marrone sale in cattedra, il blu elettrico diventa malinconico, l’arancio si fa mattone annacquato.     
Doug procede col suo andamento ciondolante a passo di blues, le braccia lunghe che scendono dalle spalle strette, gli occhi docili da cane bastonato che guarda il mondo con aria colpevole.
Arriva al numero 1246 di Hope Street ed entra al Morrison Hotel di filato, senza spezzare l’andatura molleggiata.

Dal bancone della reception tutta moquette e tappezzeria sbiadita, l’inserviente gli fa un cenno con la testa. Doug risponde strizzando l’occhio e piazzando un paio di banconote sul piano; l’uomo le fa sparire velocemente e gli allunga un portachiavi senza numero.

Doug sale le scale strette al ritmo di un mid-tempo tutto nella sua testa.
Sulla rampa del secondo piano incrocia la donna delle pulizie. La mulatta gli regala un sorriso timido che mozza il fiato e scalda il cuore. Doug si ferma un attimo, spiazzato. Il suo sguardo segue l’andamento di quel bel culetto che balla dentro la divisa a strisce azzurrine. Spera si volti ancora, che magari lo spii con la coda dell’occhio mostrando interesse. Ma niente. L’inserviente esce dalla sua vista. Pazienza.

I piedi di Doug raggiungono il terzo piano, dove percorrono il corridoio vuoto fino all’ultimo ingresso. Le chiavi senza numero tintinnano. Apre la porta su una specie di sgabuzzino stretto con un lettino: un covo asfittico e perfetto. Chiude il mondo fuori girando la chiave nella toppa, e sul suo viso si allarga un sorriso storto, pieno di anticipazioni. Spicca un salto e piomba sulla branda a braccia larghe e pancia in su, come un Cristo felice di esser crocifisso su quel lenzuolo beige macchiato. Alza lo sguardo su un quadro appeso alla parete opposta: l’olio su tela raffigura un paesaggio desertico sconfinato, il sole a picco implacabile e un paio di cactus stilizzati appena abbozzati di lato.
Chiude gli occhi.

Tre secondi di nera attesa.

Un rumore secco, un gemito, e Doug riapre gli occhi di scatto, le pupille vogliose e rapaci. Si mette a sedere sul letto come una molla, si alza in piedi. Misura il passo bluesy schioccando le dita, avvicinandosi alla parete. Si ferma col naso a pochi centimetri dal quadro, poi inizia a baciarlo con trasporto.
Quando si scosta, ha due occhi sognanti. Stacca il dipinto dal chiodo e lo poggia sul mobile sottostante, liberando la visuale su un piccolo, perfetto foro praticato nel muro. L’occhio di Doug si avvicina al buco, la sua visuale penetra nella parete e viola l’intimità della stanza accanto.

La coppia sta scopando. Un ragazzo magro, dai capelli folti e le spalle larghe, si muove dentro e fuori una bionda formosa di mezza età. Lo fa piano, come se non avesse alcuna fretta; lavora di fianchi, in rotazioni lente, e la donna ulula in estasi.

Doug, l’occhio fisso nel foro, porta una mano sul bottone dei pantaloni, lo sgancia, e in una manata frenetica fa scendere a terra jeans e mutande. Inizia a toccarsi. É una spia, nella Casa dell’Amore.

I due amanti sono in perfetta simbiosi, i loro corpi grondano godimento, il sudore inizia a scendere anche sulla fronte di Doug, offuscando la visuale rubata.   Si scosta dal muro giusto il tempo di passare il dorso della mano sugli occhi ma, quando torna a spiare dal foro, scopre che il ragazzo dall’altra parte si è fermato, restando in ascolto di qualcosa. La donna apre gli occhi, lo supplica di continuare. Il ragazzo le fa cenno di stare zitta, le chiude la bocca come per iniziare un altro gioco erotico… poi d’improvviso le stringe l’altra mano intorno al collo.   

Doug vorrebbe ritrarsi ma non riesce a farlo: tiene l’occhio sgranato su quella visione crudele e ipnotica, ghiacciato. La donna lotta come può, si divincola, mugugna, schiuma dalla bocca, sussulta… poi si arrende, si affloscia sulle coperte. Doug si lascia scappare un gemito e l’Assassino alza la testa di scatto, fissando lo sguardo dritto nel foro. 

Doug, nel panico, si tira indietro col respiro corto, incespica sulle sue gambe e cade sul letto; si riveste al volo e si precipita in corridoio, giusto in tempo per vedere la porta della camera accanto spalancarsi.    
L’Assassino, con addosso solo un paio di pantaloni in pelle, si staglia di fronte a lui sbarrandogli la via di fuga per le scale. É bello come un Dio e pericoloso come un Demone. Doug non può fare altro che voltarsi e infilarsi nell’uscita di servizio che dà sull’esterno.

La Spia si ritrova fuori, sotto i quaranta gradi di luglio, sospeso sulle scalette rugginose che portano alla terrazza sul tetto. Non ha nulla per chiudere la porta dall’esterno, quindi valuta l’altezza per un salto… ma desiste, troppo rischioso. Sale goffamente, scivolando più volte e tenendosi al passamano, gli occhi che guizzano alle spalle di continuo.

Si ritrova sulla terrazza inondata di afa e riverberi californiani, vuota, se non fosse per il cabinato di cemento che permette l’accesso dalle scale interne. Disperato, si getta sulla porticina che rappresenta la sua ancora di salvezza. É chiusa. Si volta, appena in tempo per vedere l’Assassino fare il suo ingresso sulla terrazza. Sembra privo di ogni tensione, lo guarda con un sorrisetto canzonatorio a mezza bocca.
Doug indietreggia e inizia a scuotere la testa, biascicando una serie di patetici “No”. Il cornicione, fin troppo basso, tocca il retro delle sue gambe. 
La Spia è in trappola.

Doug sente la fine a un passo e si lascia andare a terra, in ginocchio, le mani giunte in un’estrema preghiera di supplica. L’ombra dell’Assassino si staglia sulla Spia, che abbassa la testa in segno di resa.  
Chiude gli occhi: sa che è finita.   

Tre secondi di nera attesa.

La Spia, piano, riapre gli occhi. L’Assassino, accovacciato di fronte a lui, porta l’indice davanti alla bocca, intimandogli il silenzio. Doug si aggrappa a una flebile speranza di complicità, annuisce deciso, più volte. L’Assassino gli tende la mano, resta in attesa. Doug, incredulo, gliela stringe. Si soppesano per qualche secondo, come in sogno. D’improvviso l’Assassino lascia la presa e spicca un salto fluido sul cornicione, stagliandosi sul cielo azzurro e uniforme in perfetto equilibrio. L’Assassino punta un braccio in direzione del palazzo di fronte. La Spia, spiazzata, segue l’indicazione e si ritrova di fronte a un tesoro. Un dono.     Un vecchio stabile anni ‘30 dalle grandi finestre che affacciano tutte sulla zona-notte degli appartamenti.   
La visuale da quel punto è perfetta, quasi imbarazzante per quanto nitida e, allo stesso tempo, protetta.
L’Assassino inizia a camminare in bilico sul cornicione, le braccia aperte sui lati per bilanciarsi, muovendosi spavaldo in una pericolosa danza sciamanica a picco sul baratro, senza alcun timore che un passo falso possa tradirlo. Doug vorrebbe fermarlo, chiedere, ringraziare, ma ingoia le parole e resta zitto. Lo segue allontanarsi fino a sparire dietro il profilo del cabinato, dalla parte del sole.   

Doug torna a guardare il palazzo. Vede tutto.
Una donna che riposa, una coppia che litiga, un uomo che si annoda la cravatta, una ragazzina che prova un reggiseno di fronte allo specchio. Un’insperata fonte di scorci, d’intimità, di felicità. Doug sorride.   
É una Spia, nella Casa dell’Amore.   

Soggetto di Simone Ignagni, disegno di Leonardo Vannini
  
   


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